Le Catacombe di Sant’Eframo Vecchio nel quartiere di San Carlo all’Arena di Napoli.

Sono in pochi a conoscerne l’esistenza. Le catacombe furono scoperte da padre Antonio Bellucci nel 1931. In realtà furono già rinvenute nel cinquecento dai frati cappuccini del convento di Sant’Eframo Vecchio che decisero di murare l’accesso per timore che il luogo diventasse meta di curiosi e pellegrini.

… nel corso dei lavori di ristrutturazione promossi dai cappuccini nel 1540, furono scoperte le antiche grotte sepolcrali, delle quali se ne aveva memoria dalla tradizione e dalle istorie di Napoli, ma non ne concorreva la cognizione del particolare luogo e del sito…i frati, però, decisero di murare gli accessi a queste cavità che si trovavano «dietro del muro dell’altar maggiore» e che presentavano «dipinture corrose e guaste, cellette, ostelli ed altro dell’antico». Sette anni dopo, in occasione della ristrutturazione del convento, «fu scoperto un lungo corso dell’antico cimitero, con delle nicchie sepolcrali scavate in pietra tenera, detta volgarmente pietra tufo, avendo qualche memoria delle dipinture alla greca», ma ancora una volta si preferì murare l’accesso.

Gli eruditi napoletani della seconda metà del XVII secolo si limitarono a segnalare l’esistenza della chiesa sulla collina detta la Montagnola ovvero ad accennare alle reliquie dei tre vescovi Efebo, Fortunato e Massimo che vi erano conservate. Il primo a parlare esplicitamente di una catacomba sottostante la chiesa e il convento di S.Eframo fu, alla fine del Seicento, il canonico Carlo Celano, il quale era convinto che si trattasse di una regione del cimitero di S. Gennaro.

Nel 1641 Celano, insieme al padre, si era
calato in una voragine apertasi presso la villa Biancardi, a seguito di forti piogge: ebbe così modo di accertare l’esistenza di una cavità artificiale, «come quella di San Gennaro, con i suoi loculi nel muro, però non in tanta quantità come ne’ primi»; percorse la cavità per circa 80 passi in direzione della Montagnola, ma dovette arrestarsi per la presenza di «una rupe caduta», potendo solo accertare che la galleria, in gran parte riempita da terra e pietre, proseguiva verso la chiesa per altri 30 passi.

Intorno alla metà del XVIII secolo si verificò un rinnovato interesse alle vicende
legate alla figura del vescovo Efebo. Il riferimento alla presenza dei corpi dei tre santi vescovi nell’altare della chiesa ricorre anche nel III volume della Descrizione della città di Napoli e suoi borghi (1789), nel quale Giuseppe Sigismondo descrive il complesso conventuale che era collocato al termine della «Cupa di Sant’Efrem».

Nel 1872 Gennaro Aspreno Galante, precisò che Efebo «fu sepolto in questo luogo, e dal suo sepolcro nacque la catacomba, che è qui ancora inesplorata: e la sua cripta divenne per culto e prodigi una chiesuola». Galante, ritornando sull’argomento nel 1907, espresse l’auspicio che «una mano benefica» si adoperasse per «rintracciare le vestigia» della catacomba di S. Efebo; convinto che solo uno scavo nelle adiacenze della chiesa avrebbe potuto fornire indicazioni sull’estensione e l’importanza del cimitero.

Padre Antonio Bellucci, allievo di Galante, elaborò un progetto di ricerca sulle catacombe sin dal 1923. Chiese l’autorizzazione ad eseguire degli scavi nella chiesa di S. Eframo Vecchio, sebbene temesse di non trovare nulla e di cadere nel ridicolo. Il permesso gli venne rilasciato il 20 febbraio 1931.

Riprendendo quanto aveva già evidenziato Galante, Bellucci rilevò che l’espressione “cavernas ecclesiale” presente nel secondo miracolo del “Libellus miraculorum S. Ephebi”, attesta l’esistenza di «cripte adiacenti alla chiesa», alle quali si accedeva solo attraverso l’ingresso dell’edificio di culto; nel contempo sottolineò che queste cripte esistono e «hanno talora una corrente di vento proprio dall’esterno verso l’interno della chiesetta» Un’analoga circolazione d’aria si verificò il 16 marzo 1931, quando lo studioso fece praticare dal muratore Gennaro Cimafonte un varco tra la cappella di S. Antonio di Padova e il lungo corridoio dando avvio agli scavi che misero in luce i resti della catacomba.

Trent’anni dopo, nel ricordare questa circostanza, Bellucci precisò che «dal buco usciva come una folata di vento», tanto che vi introdusse «una candela accesa alla estremità di una canna ed il vento la spense.

Foto e testo estratti da:
Territorio, insediamenti e necropoli fra tarda antichità e alto Medioevo. Atti del Convegno internazionale di studi Territorio e insediamenti fra tarda antichità e alto medioevo. Di Carlo Ebanista